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Frida Kahlo non è un brand

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Ma non ha stancato anche voi vedere magliette, borse, bigiotteria, pigiami e persino calzini con la stampa di Frida Kahlo? Non voglio apparire saccente né snob, ma io non ne posso più. Frida Kahlo sta diventando oggetto di mercificazione, trasformata dal mercato in un’icona pop, a uso e consumo della moda. Il rischio è di fare torto alla sua storia e soprattutto alla sua arte. L’arte di Frida Kahlo non è immediatamente comprensibile, non è decorativa né strettamente figurativa. Non a caso, benché Frida non si sentisse tale, fu considerata da Breton una surrealista. Soprattutto, le sue opere sanguinano, nella loro straordinaria potenza. Non importa quanto variopinte possano essere, quanti fiori, quanti uccelli, quanti colori possa aver dipinto sulle sue tele. Ogni pennellata è un grido lancinante di dolore.

Frida Kahlo, già colpita dalla poliomielite a sei anni, fu vittima di un gravissimo incidente stradale quando ne aveva 18. Il pullman che la riportava a casa da scuola si schiantò e un corrimano di metallo le attraversò letteralmente il bacino. Per tutta la vita soffrì di dolori lancinanti, passando da una operazione all’altra, alternando interminabili periodi bloccata a letto e assistendo impotente alla progressiva riduzione della sua mobilità, fino all’amputazione di una gamba. Fu proprio la malattia e l’infermità seguita all’incidente che la spinsero a dipingere. Per questo, la maggior parte delle sue opere sono di piccole dimensioni, dipinte da sdraiata sul proprio letto.

Quella di Frida Kahlo fu una vita potente e appassionata, ma una vita di dolore. Resa non meno pesante dalla relazione tanto intensa quanto difficile con lo straripante marito, il muralista Diego Rivera, sposato la prima volta nel 1929 e amato alla follia, nonostante le infedeltà e le ripetute umiliazioni. Nella sua breve vita, Frida affrontò tre aborti e infiniti tradimenti, uno persino con la sorella Cristina.

Tutto questo è dipinto nelle sue tele, quasi ossessivamente dominate da un unico potente soggetto iconografico: lei stessa, con il suo dolore e tutto il suo mondo intorno. Il Messico, Diego Rivera, i suoi abiti tradizionali, i suoi animali “domestici”, i suoi gioielli eccessivi, i suoi colori sgargianti, le sue visioni oniriche, le sue atmosfere primitive e naif. E, sopra ogni cosa, il suo dolore, come un cervo ferito o una colonna spezzata. Come può tutto questo diventare cult, fashion, pop o trash a seconda delle circostanze? Davvero stiamo esagerando! O meglio, il mercato sta esagerando, perché sta via via mangiando, digerendo e vomitando l’arte di Frida Kahlo. E con essa la sua vita e le sue convinzioni.

Frida Kahlo aveva un rapporto istintivo ma anche politico con le sue origini messicane. Il quadro La mia balia ed io ne parla apertamente. La balia è una donna possente, monumentale, antica, quasi una roccia. Ha il seno nudo e il volto nascosto da una maschera indigena messicana. Frida ha il corpo di una neonata ma il suo volto è quello da adulta. Sullo sfondo la lussureggiante vegetazione dei tropici. Frida succhia il latte dal seno di questa grande madre, nutrendosi della sua terra, della sua storia antica, delle sue origini.

La stessa abitudine di indossare gli abiti, i gioielli e le acconciature tradizionali delle donne messicane, quello che ne fa un personaggio immediatamente riconoscibile e unico, era per lei non soltanto un modo eccentrico di presentarsi al mondo, ma anche l’affermazione convinta e consapevole di una ideologia che la portava a esaltare la cultura contadina indigena, in aperto contrasto con quella dominante dei conquistatori. Quasi una sorta di “mexicanismo”. Tanto più questo suo legame con il Messico e la cultura tradizionale fu ostentato nei periodi in cui, per seguire il lavoro del marito, fu costretta a vivere negli Stati Uniti. Gringolandia, come lei stessa li chiama, in aperta polemica, anche in alcune sue celebri opere.

Ve la immaginate quindi a vedersi oggi, famosa in tutto il mondo e non più all’ombra dell’incontenibile marito, che bellezza! Ma non tanto per le sue opere, in realtà poco conosciute e non molto studiate, quanto, assai di più, per i suoi abiti e le folte sopracciglia, stampate su t-shirt e borsette come una qualunque altra icona pop dei nostri tempi.

Qui non è l’arte che colonizza il mercato, trasformando una scatola di zuppa o Marylin Monroe in una opera da esporre in un museo. Qui è il mercato a colonizzare l’arte, abusando di essa per trasformare in un oggetto da bancarella anche un personaggio contraddittorio e complicato come Frida Kahlo, fragile e potente al tempo stesso, pieno di vita quanto di atroce sofferenza. Il mercato la sussume e la banalizza, cancellando perlopiù le sue opere, semplificando la sua vita e riducendola a una acconciatura stravagante.

Non faccio la purista. Lo so bene che l’arte non è mai neutra, è da sempre un fatto sociale e come tale è sempre stata oggetto delle strutture economiche e politiche della società. Persino quella che chiamiamo “arte classica”, destinata in modo ricorrente a riemergere nel gusto dominante come l’arte per eccellenza e antonomasia, è in realtà un fatto storico preciso, cioè l’arte sviluppatasi tra il V e il IV secolo avanti Cristo, fortemente legata alle istituzioni delle polis greche, alla ideologia di Pericle e alla fase politica espansiva successiva alla vittoria sui persiani. È in qualche modo normale, quindi, che la società usi l’arte. E in una società capitalistica non mi stupisco certo che l’arte finisca per essere un fatto economico, persino finanziario, quotata a Wall Street e conservata nei caveaux dei più grandi istituti bancari.

E davvero non vogliono sembrare snob. Sono contenta che Frida Kahlo sia conosciuta in tutto il mondo e finalmente una donna pittrice raggiunga una notorietà poco inferiore a quella di Pablo Picasso. Fino a poco tempo fa, prima che il mercato si interessasse ai suoi abiti e alle sue acconciature, Frida era pressoché sconosciuta o peggio ancora era “la moglie di Diego Rivera”. In una Garzantina di arte del 1974 che ho conservata a casa, tra le centinaia di migliaia di pittori di tutte le epoche (la stragrande maggioranza uomini, con poche eccezioni), il nome di Frida Kahlo non esiste, se non di sfuggita alla voce Diego Rivera. Oggi non potrebbe più essere così. E anche il valore delle sue opere, in termini economici, è triplicato nelle aste. Non posso che esserne contenta. E lo sarei ancora di più se bastasse un film a rendere note anche le tante altre donne pittrici che non trovano posto nei manuali di storia dell’arte. Se per Frida Kahlo il cinema è stato provvidenziale, altrettanto non è accaduto, per esempio, con altre due straordinarie artiste ingiustamente dimenticate, come Camille Claudel e Berthe Morisot, cui pure sono stati dedicati dei film, non altrettanto di successo. E me ne rammarico.

Però stiamo attenti, vi prego, perché l’operazione che il mercato sta facendo, rischia di snaturare Frida Kahlo invece che onorarla. La reinterpreta, la decontestualizzata, la strumentalizza, la trasforma in una pop star o in una maschera di carnevale e derubrica la sua vita dolorosa a una telenovela kitsch. E mi è difficile pensare che sia casuale in tutto questo il fatto che lei fosse una donna. Anche Picasso era un personaggio egocentrico e la sua vita non era certo ordinaria. Eppure conosciamo il suo volto ma meno di quello di Frida. Quello di Dalì forse di più, per i suoi eccentrici baffi all’insù. Forse quello di Van Gogh, a causa degli aspetti più macabri della sua storia. Cézanne, per esempio, ampiamente riconosciuto come il padre dell’arte moderna, non sapremmo invece nemmeno riconoscerlo. Ma, in ogni caso, di nessuno di questi si organizzano tre mostre l’anno senza mezza opera che non siano fotografie, abiti o gioielli. Di nessuno esce una biografia ogni due mesi per raccontarne episodi curiosi o fatti più o meno romanzati. Di nessuno di questi c’è un merchandising così spregiudicato. Non li trovate sulle bancarelle. Non sono un brand.

Siamo sicuri, allora, che vogliamo che una delle poche donne pittrici conosciute e riconosciute dal mercato e dalla cultura popolare lo sia per i suoi abiti più che per le sue opere? Vi prego, no. Ho anche io una sciarpa con una stampa di Frida Kahlo, comprata anni fa, la indosso e la trovo molto bella. Ma fermiamoci qui. La prossima volta che vogliamo comprare una maglietta con il suo volto, usciamo dal negozio in cui ci troviamo, entriamo in una libreria, sorvoliamo sull’ultima incerta biografia del momento e piuttosto compriamo un libro delle sue opere. Non sono altrettanto facili da digerire, ma è il modo migliore di onorare una grande e potente artista.

 

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